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Intolleranza all’Istamina: Quando il Cibo Diventa un Problema (E Come Risolverlo)

Gonfiore dopo una pizza con acciughe. Mal di testa pulsante dopo un bicchiere di vino rosso. Orticaria improvvisa dopo un formaggio stagionato. Se ti ritrovi in questi episodi, potresti avere un’intolleranza all’istamina: una condizione sorprendentemente comune, ma ancora poco riconosciuta, che può colpire fino a una persona su cinque.

Ma cos’è esattamente questa “intolleranza” e perché fa reagire il corpo in modo così imprevedibile? La risposta sta in un delicato equilibrio biochimico che coinvolge un enzima poco conosciuto ma fondamentale: la diamine ossidasi, o DAO.



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Quando il corpo non riesce a smaltire l’istamina

L’istamina è una molecola naturalmente presente nel nostro organismo, coinvolta in moltissime funzioni fisiologiche: regola la secrezione gastrica, partecipa alla risposta infiammatoria, alla regolazione del sonno, al tono vascolare e perfino all’appetito.

Il problema nasce quando l’istamina introdotta con gli alimenti supera la capacità del corpo di eliminarla. A farne le spese è soprattutto l’intestino, dove la DAO, prodotta dalle cellule della mucosa, ha il compito di “smaltire” l’istamina in eccesso.

Se questa enzima è carente o funziona male, l’istamina si accumula e passa nel sangue, scatenando una serie di sintomi che possono coinvolgere diversi organi e apparati. È un po’ come se il corpo restasse “intossicato” da una sostanza che, in condizioni normali, saprebbe gestire perfettamente.


Un mosaico di sintomi (che spesso confonde)

L’intolleranza all’istamina non ha un volto unico: può manifestarsi in tanti modi diversi, e proprio per questo è spesso difficile da riconoscere. Alcune persone lamentano gonfiore, dolore addominale o diarrea dopo i pasti; altre invece accusano mal di testa, vertigini o tachicardia. C’è chi sviluppa orticaria, prurito o rossori improvvisi, magari dopo un bicchiere di vino, e chi nota un peggioramento della congestione nasale o un senso di stanchezza cronica inspiegabile.

Questa variabilità rende la diagnosi complicata: i pazienti spesso passano da un gastroenterologo a un allergologo o a un dermatologo prima che qualcuno colleghi i puntini. Eppure, il meccanismo è sempre lo stesso: troppa istamina, poca capacità di degradarla.


Perché succede: tra genetica, intestino e ormoni

Le cause possono essere diverse. In alcuni casi, esiste una predisposizione genetica: il gene AOC1, che codifica per la DAO, può presentare varianti che riducono l’attività enzimatica. In altri casi, la colpa è di una mucosa intestinale infiammata o danneggiata da condizioni come celiachia, sindrome dell’intestino irritabile, disbiosi o infezioni batteriche croniche.

Anche i farmaci possono interferire: alcuni antibiotici, analgesici, antiulcera e perfino l’alcol riducono temporaneamente l’attività della DAO.

Un altro fattore spesso sottovalutato è quello ormonale: gli estrogeni modulano la produzione di DAO, e questo spiega perché molte donne notano fluttuazioni dei sintomi nel corso del ciclo mestruale o in menopausa. Non è raro, per esempio, che una paziente mi racconti che la sua “intolleranza” sembra peggiorare proprio nei giorni che precedono il ciclo.


Come si fa diagnosi

Non esiste ancora un test definitivo per diagnosticare l’intolleranza all’istamina. I dosaggi ematici della DAO possono dare un’indicazione, ma non sempre rispecchiano ciò che accade realmente nell’intestino. Il percorso diagnostico è quindi essenzialmente clinico: si parte da un’anamnesi accurata, si analizza la relazione tra sintomi e alimenti, e si escludono altre condizioni, come allergie, malattie infiammatorie intestinali o mastocitosi.

Un passo fondamentale è il diario alimentare: per qualche settimana il paziente annota cosa mangia, quando compaiono i sintomi e con quale intensità. Questo permette di identificare correlazioni e capire se davvero l’istamina è la responsabile.

Quando il sospetto è fondato, si passa alla prova pratica: una dieta a basso contenuto di istamina per 3-4 settimane, seguita da una fase di reintroduzione graduale degli alimenti. Se i sintomi migliorano durante l’eliminazione e tornano alla reintroduzione, la diagnosi è pressoché confermata. Utile il dosaggio di istamina fecale e urinaria.


La dieta: più freschezza, meno fermentazione

L’approccio dietetico resta la pietra angolare del trattamento. Il principio è semplice: ridurre l’apporto di istamina alimentare e migliorare la salute dell’intestino.

Gli alimenti da limitare sono quelli ricchi di istamina o che la liberano: formaggi stagionati, salumi, pesce in scatola, vino, aceto, pomodori, spinaci, melanzane, avocado e prodotti fermentati come yogurt, crauti e salsa di soia.

Al contrario, si dovrebbero preferire cibi freschi, poco processati e ben conservati. L’istamina, infatti, si forma durante la conservazione e la fermentazione: più un alimento è “vecchio” o fermentato, più istamina contiene. Per questo motivo è bene evitare gli avanzi e consumare il pesce o la carne nel giro di poche ore dall’acquisto.

Una volta che l’istamina è presente nel cibo, nemmeno la cottura può eliminarla.

Dopo alcune settimane di dieta di eliminazione, si reintroducono gradualmente gli alimenti per capire il livello personale di tolleranza. Ogni persona ha una soglia diversa: c’è chi riesce a bere un bicchiere di vino senza problemi e chi invece reagisce anche a una fetta di formaggio. La personalizzazione è fondamentale.


Il ruolo della supplementazione

Negli ultimi anni, diversi studi hanno valutato l’efficacia della supplementazione con DAO esogena, cioè l’enzima assunto in forma di integratore prima dei pasti. Quella utilizzata nella maggior parte dei prodotti è estratta da rene suino, talvolta arricchita con vitamina C, che ne migliora l’attività.

La DAO orale non viene assorbita nel sangue: agisce localmente, nell’intestino, dove degrada l’istamina prima che venga assorbita. Per questo motivo va assunta poco prima del pasto.

Le evidenze, pur ancora limitate, sono promettenti: diversi studi controllati hanno mostrato un miglioramento dei sintomi gastrointestinali, cutanei e perfino neurologici (come nel caso dell’emicrania) nei pazienti con ridotta attività di DAO.

È importante però ricordare che si tratta di un supporto aggiuntivo, non di una terapia sostitutiva: la base resta sempre la dieta e la gestione delle cause sottostanti.


Non solo biochimica: anche la mente ha un ruolo

Molti pazienti che soffrono di intolleranza all’istamina arrivano dopo mesi di tentativi, spesso stanchi e disorientati, alla ricerca di una lista precisa di cibi “consentiti” e “vietati”. Ma l’HIT non è una condizione in bianco e nero, e ridurre tutto a un elenco può generare un’ansia da controllo che peggiora la qualità di vita e alimenta un circolo di restrizione e paura del cibo.

È importante affrontare questa condizione con flessibilità e consapevolezza, ricordando che i sintomi migliorano anche lavorando sulla salute intestinale, sulla gestione dello stress e sulla varietà dell’alimentazione.

Inoltre, il miglioramento che si osserva con le diete di eliminazione non deriva solo dalla riduzione dell’istamina, ma anche da un’alimentazione più pulita, dalla riduzione di zuccheri, alcol e alimenti ultraprocessati, e dal senso di controllo che si riacquista sul proprio corpo.


Conclusioni

L’intolleranza all’istamina è una realtà clinica sempre più riconosciuta, ma ancora circondata da confusione e semplificazioni. Non è una moda né un’invenzione, ma una condizione complessa che richiede competenza e personalizzazione.

Capire come funziona la DAO, individuare i propri alimenti “trigger”, curare la salute dell’intestino e, se necessario, supportare l’organismo con integratori mirati può fare una grande differenza.

Con un approccio graduale, basato sulla conoscenza e non sulla paura, è possibile tornare a godersi il cibo, senza rinunce e senza sintomi.

Perché la verità è che l’istamina non è un nemico: è solo una sostanza che, in alcune persone, ha bisogno di un po’ più di equilibrio.



 
 
 

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