Caffè e Malattie Autoimmuni: Protegge o Danneggia? La Scienza Risponde
- Dott. Federica Cavallini

- 4 days ago
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Il caffè è una delle bevande più amate al mondo. Si stima che ogni giorno vengano bevute oltre due miliardi di tazze, una cifra che dice molto sulla sua importanza culturale e sociale. Ma quando si parla di salute, e in particolare di malattie autoimmuni, il caffè è un alleato o un potenziale nemico?
Una meta-analisi pubblicata su Autoimmunity Reviews nel 2014 ha cercato di dare una risposta, raccogliendo i dati di oltre 600.000 persone provenienti da 15 studi diversi. I risultati sono tutt’altro che univoci: il caffè sembra proteggere da alcune malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla, la colite ulcerosa e la colangite sclerosante primaria, ma allo stesso tempo può aumentare il rischio di altre, in particolare l’artrite reumatoide e il diabete di tipo 1.Per la psoriasi, invece, non è stata trovata nessuna associazione significativa.
In altre parole, non esiste un semplice “fa bene” o “fa male”: gli effetti del caffè dipendono dal tipo di malattia, dai meccanismi immunitari coinvolti e persino da fattori genetici individuali.

Una meta-analisi da 600.000 persone
Lo studio in questione ha analizzato l’associazione tra consumo di caffè e otto diverse patologie autoimmuni. I risultati hanno mostrato uno scenario affascinante, in cui la stessa bevanda può avere effetti opposti a seconda del contesto biologico.Chi beveva molto caffè (oltre quattro tazze al giorno) mostrava un rischio più alto di artrite reumatoide, soprattutto tra le donne. In particolare, il rischio aumentava di circa il 30%, e sembrava più evidente nei casi sieropositivi, cioè in chi produce anticorpi specifici contro le proprie articolazioni.Un meccanismo ipotizzato riguarda il ruolo della caffeina come modulatore del sistema immunitario: in alcune persone potrebbe aumentare l’attività delle cellule B e favorire la produzione di autoanticorpi.
Un discorso simile, ma con meccanismi diversi, vale per il diabete di tipo 1. In questo caso l’aumento del rischio non riguarda chi beve il caffè, ma le donne in gravidanza: secondo i dati, il consumo materno di caffeina potrebbe leggermente aumentare la probabilità che il bambino sviluppi, in futuro, un diabete autoimmune. La spiegazione è biologicamente plausibile: la caffeina attraversa la placenta e può interferire con la maturazione del sistema immunitario fetale.
Quando il caffè diventa un alleato
Sul versante opposto, il caffè sembra invece esercitare un effetto protettivo in altre malattie.Nel caso della sclerosi multipla, chi beveva circa quattro tazze al giorno aveva un rischio ridotto di circa un terzo rispetto a chi non ne beveva affatto. Qui il ruolo della caffeina è molto interessante: agisce come neuroprotettore, riduce l’attivazione delle cellule infiammatorie nel sistema nervoso centrale e limita i danni ossidativi che contribuiscono alla degenerazione mielinica.
Un beneficio ancora più netto è stato osservato nella colangite sclerosante primaria, una malattia autoimmune del fegato e dei dotti biliari. In questo caso, il rischio nei bevitori di caffè risultava dimezzato. La caffeina sembra migliorare il metabolismo epatico, ridurre la fibrosi e modulare in senso positivo il microbiota intestinale, che gioca un ruolo importante anche in questa patologia.
Lo stesso vale, seppure in misura minore, per la colite ulcerosa: chi consuma abitualmente caffè mostra un rischio ridotto di circa il 37%. I motivi? Probabilmente una combinazione tra effetto antiossidante, miglioramento della barriera intestinale e modulazione della flora batterica.Curiosamente, però, questi effetti benefici non si estendono alla malattia di Crohn, che pur appartenendo allo stesso gruppo delle malattie infiammatorie intestinali, ha meccanismi immunologici diversi.
E la psoriasi?
Qui la letteratura è piuttosto chiara: il caffè non sembra né proteggere né peggiorare la psoriasi.Studi condotti su migliaia di donne, come il famoso Nurses’ Health Study II, non hanno trovato alcuna correlazione tra consumo di caffè e rischio di sviluppare la malattia.Qualche ricerca più recente, condotta in Asia, ha ipotizzato un leggero aumento del rischio nei forti consumatori, ma l’effetto scompare quando si correggono i dati per altri fattori di stile di vita, come il fumo.In altre parole, per la maggior parte dei pazienti psoriasici, il caffè è neutro.
Anzi, alcuni meccanismi teorici fanno pensare a un possibile effetto positivo, grazie all’azione antiossidante dei polifenoli e alla capacità del caffè di modulare il microbiota intestinale. Tuttavia, la caffeina può aumentare la produzione di cortisolo e in alcune persone sensibili allo stress questo potrebbe tradursi in un peggioramento temporaneo.Come sempre, il consiglio migliore è osservare la propria risposta: se dopo un espresso la pelle “si ribella”, meglio ridurre; se invece non si notano variazioni, due o tre tazze al giorno non rappresentano un problema.
Perché il caffè ha effetti così diversi?
Il caffè è una miscela complessa di più di mille molecole bioattive. Tra queste, la caffeina è solo la più famosa. Ci sono anche i polifenoli, gli acidi clorogenici, i diterpeni, la trigonellina e le melanoidine, ognuno con un ruolo diverso sul metabolismo e sul sistema immunitario.
La caffeina, ad esempio, agisce sui recettori dell’adenosina e può ridurre l’attivazione delle cellule T, fondamentali nell’autoimmunità. Questo spiega perché in alcune malattie “cellulari”, come la sclerosi multipla, il caffè risulta protettivo. Ma lo stesso meccanismo può diventare controproducente nelle malattie dove prevale la risposta anticorpale, come l’artrite reumatoide.Gli acidi clorogenici, invece, sono potenti antiossidanti e aiutano a ridurre lo stress ossidativo sistemico, mentre le melanoidine, formate durante la tostatura, hanno un effetto prebiotico e contribuiscono al benessere del microbiota intestinale.
In sostanza, il caffè è un piccolo laboratorio biochimico in tazza: i suoi effetti dipendono dal contesto, dalla dose e persino dal modo in cui viene preparato.
Quanto caffè è “troppo”?
In media, una tazza di espresso contiene circa 70 mg di caffeina, mentre un caffè americano ne può contenere fino a 200 mg.Per un adulto sano, fino a 400 mg al giorno sono considerati sicuri: l’equivalente di quattro espressi o due caffè filtrati. In gravidanza, però, il limite scende a 200 mg al giorno.Anche la modalità di preparazione conta: il caffè filtrato, ad esempio, elimina gran parte dei diterpeni (cafestolo e kahweol) che possono aumentare il colesterolo.
E non dimentichiamo la qualità: un caffè biologico, macinato fresco e privo di zuccheri aggiunti, è sempre la scelta migliore.
In conclusione
Il caffè non è un nemico e nemmeno un superfood miracoloso. È una bevanda complessa che interagisce in modo diverso con l’organismo a seconda della persona e della patologia.Nelle malattie autoimmuni, può essere protettivo per alcune e sfavorevole per altre, ma nella maggior parte dei casi, soprattutto in chi è in equilibrio metabolico e ormonale, il suo consumo moderato è sicuro.
La chiave, come sempre, è la personalizzazione. Ascoltare il proprio corpo, osservare come reagisce e ricordare che non tutte le tazze sono uguali: il modo in cui il caffè viene coltivato, tostato e preparato può fare la differenza.
Riferimenti principali:Versini M. et al. The kaleidoscope of autoimmunity: coffee and autoimmune diseases. Autoimmun Rev, 2014.Hedström AK. et al. High consumption of coffee is associated with decreased multiple sclerosis risk. J Neurol Neurosurg Psychiatry, 2016.Ascherio A. et al. Caffeine, postmenopausal estrogen, and risk of Parkinson's disease. Neurology, 2003.



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